Carissimi,
vi scrivo, anche a nome degli altri salesiani, al termine del giorno dedicato a san Domenico Savio, un giovane allievo dell'Oratorio di don Bosco, che nella sua breve esistenza (1842-1857) ha realizzato in pienezza la vita cristiana. Vi scrivo perché Domenico è il patrono della nostra Comunità salesiana, così come san Paolo VI è patrono del Collegio e san Giovanni Bosco è all’origine di tutta l’opera salesiana nel mondo.
UNA TRAMA DI AMICIZIE SPECIALI
Che cosa hanno a che fare i santi con noi? Che cosa vuol dire che un santo è nostro patrono? Significa che in ogni momento della vita siamo inseriti in una trama speciale di amicizie buone e fidate: è la comunione dei santi. Con i santi non siamo "distanti ma uniti", come vuole lo slogan necessitato e un po’ retorico suggerito in questo tempo di pandemia. I santi sono presso quel Dio che è in cielo, in terra e in ogni luogo, e perciò sono realmente vicini a noi più di chiunque altro, forse più di quanto ciascuno di noi – disperso in mille cose – è vicino a sé stesso. Ad amici così vicini e insieme così discreti è bello rivolgersi con confidenza e chiedere di darci una mano in questo tempo che rende così strano il nostro presente e così incerto il nostro futuro.
UNA VITA CHE CI PARLA
Tra i santi, Domenico continua a dirci con la sua vita qualcosa di straordinariamente attuale:
Egli ha compreso molto presto che vivere significa essere chiamati: non siamo al mondo per caso, qualunque sia stata la circostanza in cui siamo venuti alla luce. Una Parola d’amore dall’alto, una promessa ci ha chiamati alla vita attraverso la generazione umana. La nostra esistenza non si trascina per inerzia, ma per la grazia e la volontà di rispondere alla chiamata e alla promessa di vita buona che la nascita ci ha consegnato. E il nostro destino è una vita eterna e beata; non è della morte l’ultima parola.
Domenico, benché tanto giovane, non era un illuso. Come tanti al suo tempo, ha dovuto ben presto misurarsi con la realtà della morte: quella di ragazzi ospitati come lui all’Oratorio di don Bosco e colpiti con esito fatale dalla tubercolosi; quella di tante persone contagiate dall’epidemia di colera del 1854, una circostanza che ha tante analogie con la nostra situazione attuale; quella sua personale, che le precarie condizioni di salute gli lasciavano presagire vicina. Il pensiero della morte, che certamente ha visitato anche noi in questo tempo di pandemia, non ha paralizzato Domenico, ma, con la guida di don Bosco, ha orientato la sua vita alla pienezza. Che fare, dunque, sul suo esempio e con il suo aiuto?
- Riconoscere che cosa è veramente essenziale nella vita e puntare su questo, lasciando cadere tante cose che finora ci sembravano importanti e ora si rivelano inconsistenti.
- Non lasciarsi rubare la gioia. L’espressione, tante volte proposta da papa Francesco, echeggia il primo consiglio che don Bosco ha dato a Domenico per diventare santo: mantenere l’allegria. E Domenico diceva ai ragazzi che arrivavano per la prima volta all’Oratorio: “Noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri”.
- Vivere, testimoniare e sostenere la speranza nostra e di tutti: così ha fatto Domenico con i compagni che si trovavano nelle situazioni più difficili per la salute o per altri motivi, anche con quelli che erano vicini alla morte.
- Aprirsi con generosità e intelligenza alla carità. Qui ricordo solo ciò che accadde con l’epidemia di colera del 1854. Don Bosco lasciò che 14 giovani più grandi, tra i quali Domenico, andassero a portare aiuto ai contagiati. Sostenne e diede spazio alla loro generosità e li guidò a farlo in modo intelligente: osservando le necessarie precauzioni igienico-sanitarie e accompagnando ciò che si stava facendo con la preghiera perseverante e fiduciosa al Padre: “liberaci dal male!”.
UNA ESPERIENZA COMUNE, UNA PAGINA NUOVA
Cari amici, viviamo una esperienza comune in modi diversi, come voi stessi avete avuto occasione di dirci. C’è chi si trova in zone poco toccate dall’epidemia e chi, abitando ad esempio nelle province di Bergamo e Brescia, è stato colpito per la morte di persone care e conoscenti. Certamente i primi si impegneranno a evitare il rischio dell’indifferenza, ai secondi va la nostra solidarietà, la preghiera e l’incoraggiamento più sentito.
In questi giorni stanno arrivando tante richieste di conferma del posto per l’anno accademico 2020-2021. Molte sono accompagnate da brevi parole di ringraziamento, di vicinanza, di augurio reciproco per la ripresa, di speranza. Mi piace riportare un messaggio inviato al Collegio ancora nel mese di marzo, nel pieno dell’emergenza: “Con un gesto di grande speranza e fiducia le allego con anticipo il mio modulo di conferma della camera anche per il prossimo anno accademico”. Come ho scritto a molti, questo gesto è per noi di conforto e incoraggiamento a fare del nostro meglio a favore del vostro percorso di studi e di vita. Le rinunce pervenute finora sono dovute a circostanze che, grazie a Dio, non dipendono dalla crisi attuale, ma giungono a conclusione di un ciclo di studi o in vista di soggiorni Erasmus e sempre accompagnate da espressioni di cui ringraziamo di cuore. Per tutti noi si apre una pagina inedita di vita: i nostri santi e la Madonna, pregata in modo speciale dai cristiani nel mese di maggio, ci sostengano e ci guidino a scrivere ciascuno una pagina originale e bella.
È bello pensare che sia una pagina non scritta in solitudine, ma condivisa. Perciò in questo tempo che siete lontani gli uni dagli altri, non dimenticate di continuare a coltivare relazioni e amicizie con i vostri compagni di Collegio: sarà più bello ritrovarsi, se il ritorno sarà atteso e la vita comune – certamente diversa da quella vissuta finora – sarà stata preparata da una comunicazione mai interrotta.
Scusate la lunghezza poco “social” e il messaggio poco “operativo”. Ma a volte c’è bisogno di comunicare anche senza un motivo funzionale, per condividere ciò che sta a cuore di ciascuno e, da parte di noi salesiani, per dire grazie!
Un caro saluto a voi e alle vostre famiglie.
don Franco - Direttore
e comunità salesiana